di Maria Grazia Campese
Il Terzo Settore è a una svolta. Bene ha fatto il Governo Renzi ad accendere la miccia del dibattito con l’ormai celebre frase “il Terzo Settore non è il Terzo, ma è il Primo”. E bene ha fatto a fare seguire i fatti alle parole: le policy o sono
concrete o non sono. Il disegno prospettato dal consulente di Palazzo Chigi, Vincenzo Manes, ha sollecitato un confronto serrato in un mondo che, nonostante sia diventato negli ultimi vent’anni sempre più centrale nell’economia e nella società italiana, ha spesso ragionato su se stesso e sui propri problemi in maniera ideologica, senza seguire un criterio fattuale e pragmatico. Si può essere d’accordo o no con il
progetto dell’Ire del Terzo Settore. Può piacere o non piacere. Di certo, però, l’impostazione appare netta e nitida: non lascia spazio alle ambiguità.
Sotto il profilo teorico e pratico, questo progetto è basato sul principio di una leva finanziaria che ha un nocciolo duro di risorse pubbliche – 50 milioni di euro- che dovrebbe riuscire a catalizzare l’aggregazione di donazioni private (i cittadini, in particolare, sono centrali in questo progetto) e ad attirare gli interventi delle fondazioni ex bancarie.