di Elio Silva.
L’attenzione per l’impatto sociale delle attività, sia non profit che a scopi di lucro, si sta affermando come uno dei più potenti fattori di cambiamento e innovazione del nostro sistema economico. I soli fondi d’investimento a impatto sociale hanno un valore stimato a oggi intorno ai 60 miliardi di dollari, con un potenziale di crescita dieci volte maggiore nel prossimo decennio. Analogamente anche il mondo non profit, soprattutto nelle sue componenti più vocate alla produzione di beni e servizi per il bene comune, ha elevato la soglia d’attenzione verso l’impatto sociale generato dalle proprie attività.
I trend – sia nell’economia reale, sia nella finanza, sia nel Terzo settore – sono ben delineati. C’è però un fattore specifico di criticità che è bene segnalare fin da ora, prima che la progressione dell’impatto sociale diventi una cavalcata irrefrenabile. Riguarda la possibilità e la capacità di misurare in concreto, secondo standard condivisi, l’effettivo impatto sociale prodotto. Il tema che si pone è dunque quello della “valutazione” nel senso etimologico della parola, che significa “dare valore” a ciò che si è fatto. Una questione troppo seria e troppo decisiva ai fini dello sviluppo sostenibile per restare confinata nella sfera delle dichiarazioni autoreferenziali.
Di fronte a questo ostacolo il mondo non profit parte avvantaggiato, se non altro perché al suo interno contempla una forma giuridica, quella dell’impresa sociale, che ha tra i connotati costitutivi proprio la creazione di un impatto sociale positivo.