Dalla consultazione Ue sulla direttiva non financial emerge un nodo chiave: la materialità. Il dilemma su questo aspetto rappresenta la fase di evoluzione della corporate social responsibility. Alle prese con una ridefinizione. E l’integrazione nell’azienda
Corporate social responsibility, ancora questa sconosciuta. A prescindere dal termine con la quale la si indichi, la gestione sostenibile dell’impresa rimane tutt’altro che una scienza esatta. A cavallo tra economia, finanza e (sempre più) sociologia, è forse una delle aree di disciplina aziendale tuttora più indefinite e (soprattutto) in movimento.
IL DILEMMA MATERIALE
A dimostrazione quanto questa disciplina sia tuttora alla ricerca di se stessa, arriva l’esame della direttiva non-financial. Quest’ultima si prospetta come un acceleratore per le questioni aziendali riferibili a environmental, social and governance (Esg), in quanto porrà le imprese di una certa dimensione di fronte all’obbligo di monitorare il proprio operato, e rendicontare i risultati su fronti che, fino a oggi, avevano un maggiore libero arbitrio. Ebbene, dai risultati della consultazione lanciata nei mesi scorsi da Bruxelles, emerge un dato su tutti. La domanda che ha suscitato la maggiore uniformità di reazione è questa: «Quali aspetti della disclosure di aspetti non financial ritieni che dovrebbero essere specificati dalle guideline?». Ne è emersa un’indicazione quasi plebiscitaria: in un grado di rilevanza da 1 a 9, circa l’80% dei rispondenti ha dato tra 7 e 9 al tema “materialità/rilevanza”. Una convinzione che ha battuto anche uno dei punti più sensibili per la Csr, ossia la “misurabilità dei risultati”.
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