Non sono le risorse economiche la variabile decisiva per chi si avvicina al volontariato, ma le caratteristiche culturali: titolo di studio, abilità digitali, attenzione ai processi partecipativi. Di conseguenza, se si vuole incrementare il capitale sociale che si manifesta nelle pratiche di gratuità, occorre investire sopratutto in istruzione, formazione e cultura.
A questa conclusione giunge, in sintesi, una ricerca appena edita dalla casa editrice Il Mulino su “Volontari e attività volontarie in Italia”, che presenta risultati e analisi originali, elaborati sulla base di dati Istat. Questi ultimi avevano applicato, per la prima volta nel nostro Paese, lo standard globale dell’Ilo, l’Organizzazione internazionale del lavoro, per la misurazione delle attività volontarie. Successivamente un gruppo di lavoro, coordinato da Riccardo Guidi, Ksenija Fonovic e Tania Cappadozzi, con il sostegno del Centro di servizio per il volontariato del Lazio, ha classificato i numeri e approfondito le caratteristiche del fenomeno osservato.
Il punto di partenza è che, nonostante la crisi di valori di qui quotidianamente si parla, il capitale sociale del volontariato è di tutto rispetto: sono 6,63 milioni gli italiani (il 12,6% della popolazione) che si impegnano gratuitamente per gli altri o, come si usa dire, per il bene comune. Quasi quattro milioni lo fanno in modo strutturato, all’interno di organizzazioni non profit, e poco meno di tre milioni individualmente, in maniera più o meno occasionale.
Quali sono le leve e le motivazioni di fondo che alimentano il percorso? La domanda rappresenta un classico delle analisi sul volontariato e riporta alla tesi, espressa ormai un quarto secolo fa da Robert Putnam, secondo cui il capitale sociale si basa su legami di fiducia, le norme di buona convivenza e le reti di associazionismo civico, elementi che migliorano l’efficienza dell’organizzazione sociale e che trovano, per quanto riguarda il nostro Paese, radici profonde nell’Italia dei Comuni e delle corporazioni.
D’altra parte,i ricercatori del Centro di servizio del Lazio hanno anche riscontrato che fare volontariato ha un effetto di socializzazione e di stimolo alla partecipazione alla vita pubblica, sopratutto per le classi più svantaggiate. Da qui la tesi, già richiamata, secondo cui gli investimenti nella componente educativa, dell’istruzione e della cultura sono i più utili per rafforzare la propensione al volontariato e,al tempo stesso,la capacità di protagonismo nella sfera sociale.