I ricercatori si sono ispirati all’Intergenerational fairness index curato dalla Intergenerational Foundation, che purtroppo vede l’Italia penultima in classifica in Europa davanti alla Grecia. E hanno messo a punto un «Indicatore di divario generazionale» misurando 27 fattori in 12 campi, dalla disoccupazione all’abitazione, dal reddito all’accesso al credito. La conclusione è che, proiettando questo indice dal 2004 al 2030, si osserva che la generazione degli adulti e quella dei giovani «triplicano la loro distanza». Un giovane, «se nel 2004 aveva impiegato 10 anni per costruirsi una vita autonoma, nel 2020 ne impiegherà 18, e nel 2030 addirittura 28: diventerebbe, in sostanza, “grande” a cinquant’anni». Allungando ancora il periodo di osservazione e focalizzandolo sulla distribuzione dei redditi, «se nel 1991 la famiglia mediana con capofamiglia oltre i 65 anni aveva un rapporto tra ricchezza netta e reddito disponibile pari a circa 3 volte e mezzo quello della famiglia mediana con capofamiglia sotto i 30 anni, nel 2012 questa differenza è di oltre 14 volte!».
Da una parte gli adulti. I 50-60enni con il posto fisso da sempre, che grazie a esso hanno comprato la prima casa e talvolta la seconda. E che lasceranno il lavoro con una buona pensione. Dall’altra i giovani. Figli e nipoti dei primi che, nonostante siano mediamente più istruiti (laurea, master, lingue, informatica) faticano a trovare un lavoro stabile. E soprattutto un reddito stabile, perché alla fine cambiare più volte occupazione non sarebbe un dramma se ci fosse una continuità di guadagno. Invece, emanciparsi dalla precarietà è difficile e quindi i giovani non riescono a rendersi autonomi presto, perché hanno difficoltà a comprare o anche solo affittare una casa. E per la loro vecchiaia, non possono fare affidamento sulla pensione che, se non verrà corretto il sistema contributivo, spesso sarà da fame. Certo, possono contare sul consistente patrimonio accumulato dai loro genitori e che un giorno erediteranno. Ma quel giorno diventa sempre più lontano, grazie all’allungamento della vita media. E questa, nonostante tutto, è una buona notizia. L’unica, in un panorama dove la distanza tra le vecchie e le nuove generazioni in Italia aumenta. Come documenta il Rapporto 2017 sul «Divario generazionale» messo a punto dalla Fondazione Bruno Visentini, presieduta da Alessandro Laterza, presentato ieri all’Università Luiss.
Indipendenti a 50 anni