Fino a qualche tempo fa l’attenzione per il volontariato era prevalentemente connessa alla dimensione civile ed etica dell’impegno speso gratuitamente per il bene comune. Non a caso l’associazionismo ha conquistato la ribalta delle cronache sopratutto in occasione di calamità ed eventi che hanno sollecitato la mobilitazione delle energie migliori del Paese, o si è reso protagonista nella narrativa delle “buone notizie”, contrapposte a una quotidianità arida di esperienze e progettualità positive,
Questo approccio rimane anche oggi prevalente, ma non è più il solo a pesare quando si considera il fenomeno del volontariato. La tendenza più recente tra gli osservatori qualificati segna, infatti, un cambio di passo, dettato dalla consapevolezza di almeno altre due dimensioni rilevanti: il valore economico prodotto, decisamente importante anche se basato su principio di gratuità, e la capacità di creare competenze e innovazione sociale, con esiti concretamente apprezzabili sia durante i percorsi scolastici, sia nella sfera del lavoro.
Sul valore economico delle prestazioni rese gratuitamente esiste ormai un’ampia letteratura. Basti ricordare che il volontariato in Italia coinvolge, secondi i più recenti dati Istat, almeno 6,6 milioni di persone. delle quali 4,1 milioni in forma organizzata e gli altri con modalità individuali e spontanee. Nel 2013, ultima annualità consuntivata, le ore di attività sono state oltre 126 milioni “una mole di risorse umane ed economiche – osserva Luigi Bobba, sottosegretario al Lavoro e al Welfare con delega per il Terzo settore – che sono costantemente al servizio delle comunità territoriali di riferimento e. spesso, costituiscono il primo antidoto contro la disgregazione del tessuto sociale”.