Occupazione in recupero ma lontana dalla media Ue – Redditi da lavoro colpiti dal cuneo, redistribuzione minima.
L’Italia uscita dalle recessioni che si sono alternate tra il 2008 e il 2014 è più povera, più diseguale e ancora alla riscossa dei tassi di occupazione europei. Lo si apprende leggendo il Rapporto annuale Istat 2017 presentato ieri a Montecitorio dal presidente Giorgio Alleva, un voluminoso documento che propone una riclassificazione per gruppi della società realizzata con un approccio multi dimensionale. Oltre alle condizioni di redditto equivalente e occupazionali sono state considerate anche la dimensione culturale (il titolo di studio) e quella sociale (cittadinanza, dimensione del nucleo familiare, comune di residenza).
I 25,7 milioni di famiglie sono state così incasellate in nove gruppi dai nomi suggestivi e che superano le vecchie classi sociali: i “giovani blue-collar” e i “pensionati d’argento”, le “famiglie tradizionali della provincia” o “le anziani sole e i giovani disoccupati”, fino alla “classe dirigente”.
Se 4,5 milioni di italiani (1,8 milioni di famiglie) che riempiono la casella più fortunata della nuova tassonomia Istat godono di un redditto equivalente del 70% superiore alla media, le “famiglie a basso redditto con stranieri” (la dimensione è identica: 1,8 milioni di nuclei per 4,7 milioni di persone) segnano uno svantaggio del 40% mentre la distanza è del 30% per le “famiglie a basso reddito di soli italiani” (1,9 milioni per 8,2 milioni di individui).
Il nuovo “albero di classificazione” parte da una grande divisione: da un lato le famiglie il cui “principale percettore” è inattivo o disoccupato o ha un lavoro a bassa retribuzione (poco più di 10 milioni; il 40%) dall’altro i 15 milioni di nuclei con capofamiglia che lavora (dall’impiegato a salire) o è pensionato.