Rivoluzione in corso. Lo smartwork ( o lavoro agile) ormai è diventato uno slogan. Qualcosa che tutti stanno facendo o vogliono fare. Una medaglia da appuntare sul petto per le aziende. Una boccata di ossigeno per i dipendenti che continuano a fare acrobazie per tenere insieme compiti familiari e lavoro. Dove sta la fregatura?
In effetti sì, viene da chiederselo. A sentire imprese, lavoratori (e sindacati) a ormai 6-7 anni dall’inizio in Italia di questo cambio di paradigma dell’organizzazione aziendale i pro restano maggiori dei contro. A fronte di un gruppo come Tim che ha sospeso la sperimentazione che coinvolgeva 18 mila dipendenti, tanti altri hanno imboccato la strada dell’organizzazione post fordista. Che poi tradotto, vuol dire: trattare i dipendenti come se fossero imprenditori di se stessi, lasciandoli liberi di organizzarsi da soli in merito all’orario e al luogo di lavoro.
Sono numerosi i gruppi che hanno attivato progetti di smartwork nell’ultimo anno. Da Cnh Industrial a general Electric, da Ferreo a Pirelli e Enel. Compresa Fiat che lo scorso novembre ha introdotto lo smartworking nelle aree finanza e information technology. E anche Generali. ” Abbiamo fatto un accordo con il sindacato e avviato una sperimentazione a Milano che terminerà a giugno – racconta Giovanni Luca Perin, direttore risorse umane – . La possibilità di lavorare da casa fino a due giorni alla settimana è stata offerta a 350 persone, 270 hanno aderito. Abbiamo già pensato di prolungare l’esperienza. E di allargarla alla sede di Roma”.
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