Per un italiano su sei, se una donna subisce una violenza in qualche modo «se l’è cercata». Perché, in sintesi, se tradisci il marito è normale che questo diventi violento (lo pensa il 16% di questa fascia d’opinione). Perché se ti vesti in un certo modo, che ti aspetti? (non è uno scherzo, lo dichiara candidamente il 14%). E poi, se subisci e non denunci subito, ben ti sta (per un granitico e, si suppone, integerrimo 26%).
Certo, è una porzione d’Italia calvinista quella che emerge dall’indagine Ipsos per WeWorld e che anticipiamo, a ridosso della Giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne, il 25 novembre. Giudizi intransigenti e trasversali, emessi da uomini e donne di un’età che va dai 18 ai 65 anni. Ovviamente, c’è una percentuale maggiore di italiani che invece sta dall’altra parte (il 49% degli intervistati pensa che le colpe della violenza di genere non siano in alcun modo imputabili alla donna) e pertanto il presidente di WeWorld, Marco Chiesara, commenta: «La ricerca ci restituisce l’immagine di un Paese spaccato a metà, tra coloro che si schierano in modo deciso a favore delle donne, e chi invece considera il fenomeno della violenza un fatto eminentemente privato». Ma questo privato, dicono le cifre, diventa sempre più pubblico.
Le posizioni intransigenti infatti, negli ultimi mesi, si sono condensate in una reiterata, compiaciuta e maliziosa domanda: ma perché tutte queste donne che oggi denunciano molestie avvenute anni fa hanno aspettato tanto? Perché non hanno parlato subito?
E forse la riflessione di WeWorld Onlus (che dà il via a un festival milanese da domani, dove queste considerazioni verranno allargate) dovrebbe partire da questa domanda. Meglio: da questo atteggia- mento, che non è solo maschile, anzi. È un atteggiamento proprio di migliaia (milioni) di donne in tutto il mondo, le quali, a ogni nuova denuncia scuotono la testa con condiscendenza e sentenziano: ma perché parli ora? Sottinteso: perché sei stata così stupida?
Tutto questo non sa di maschilismo, sa di superficialità.