La legge Golfo-Mosca sulle «quote di genere» nei Consigli di amministrazione, che scade quest’anno, viene generalmente considerata come un successo, poiché ha consentito di far salire oltre il 33,5% la percentuale di donne nei Cda delle società quotate italiane. Secondo alcuni, questo successo dovrebbe giustificare il rinnovo della legge. Altri, invece, ritengono che oramai l’obiettivo sia stato raggiunto e che non ci sia più bisogno di prolungare meccanismi distorsivi come le quote, demandando il tema a semplici codici di condotta.
In realtà, il risultato ottenuto dalla legge appare alquanto deludente. L’obiettivo era infatti quello di ottenere che almeno un terzo degli amministratori fosse del genere meno rappresentato, cioè quello femminile. Il risultato è stato di assestarsi sul limite inferiore definito dalla quota. Se la legge avesse richiesto un minimo del 25%, probabilmente il risultato sarebbe stato intorno al 25%. Ciò evidenzia che l’imposizione per legge di una quota minima non riesce a raggiungere un risultato molto diverso da quella soglia. Sono rare le aziende che sono andate oltre. Pertanto, se l’obiettivo tendenziale di una società moderna è quello di tendere verso un rapporto di parità tra i due generi, appare necessario non solo rinnovare la legge Golfo-Mosca, ma anche innalzare la soglia minima della quota di genere meno rappresentata, ad esempio dal 33% al 40%, come è il caso in Francia.