Nei mesi di diffusione del Covid-19 le lavoratrici dai venti ai cinquant’anni sono state più colpite degli uomini della stessa età. Adesso rischiano di perdere reddito o il posto
La fase 2 è partita tra promesse di sussidi e bonus, ma ancora senza una visione. Due punti critici rischiano di indebolire dalle fondamenta la grande ricostruzione: l’assenza di un piano di investimenti per il lavoro delle donne e per la formazione dei giovani. Proviamo a vedere, in due puntate, che cosa potrebbe essere immaginato (e avviato presto) in questa transizione dalla quale dipende la chance dell’Italia di restare al passo con l’Europa migliore.
Partiamo da una constatazione. In tutti i Paesi il virus ha colpito di più la popolazione maschile in termini di mortalità. Se però consideriamo i contagi e disaggreghiamo i dati per classi d’età, la proporzione s’inverte. In Italia fra le donne adulte (20-50 anni) le diagnosi di Covid-19 sono state di circa 10 punti superiori rispetto agli uomini. Un secondo numero sensibile, a inizio ragionamento, è quello che offre una sintesi del mercato del lavoro: in tutto il mondo l’incidenza della disoccupazione, della sospensione dal lavoro e delle riduzioni di reddito è stata più alta per le lavoratrici. Perché? Queste due dinamiche sono intimamente correlate.
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