Per migliaia di aziende tornare tutti in ufficio dopo la pandemia sembra essere l’unica opzione. I datori temono di perdere il controllo sui dipendenti e di indebolire la cultura aziendale
I datori e la paura di perdere le 5 C
Flessibilità sì ma non troppa. Mentre aziende all’avanguardia come Google e Fastweb introducono strumenti innovativi e sperimentano lo smart working post emergenziale, per migliaia di datori di lavoro tornare tutti in ufficio dopo la pandemia sembra essere l’unica opzione. L’ultimo caso a fare scalpore è stato il commento del ceo di Morgan Stanley sul ritorno obbligato alle scrivanie. Un peccato perché i dipendenti sembrano avere tutta un’altra opinione a riguardo. Il lavoro da casa, se non imposto dall’alto come accaduto in questi mesi di emergenza, è infatti vissuto da una buona parte del personale come uno strumento di conciliazione in più.
Un recente studio della Harvard Business School Online ha perfino mostrato come la maggior parte dei professionisti abbia performato meglio da casa. Tanto che l’81%, potendo scegliere, opterebbe per un modello ibrido nel post-pandemia.
Ma perché i datori insistono sul rientro in ufficio? L’Harvard Business Review ha dedicato un lungo articolo ai detrattori della flessibilità in ufficio, a quelle organizzazioni che sognano l’eclissi dello smart working. L’intento era cercare di capire le ragioni che spingono chi dà lavoro a non concedere flessibilità. La risposta? Tutto si deve alla paura di perdere le 5 C: controllo, cultura, collaborazione, contributo e connessione.
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