Siamo passati da un’epoca in cui ci lamentavamo per i vincoli di Bilancio nazionali ed europei che ci impedivano di spendere, ad una (quella del Pnrr) in cui abbiamo abbondanza di risorse da investire, ma facciamo fatica a tenere e il passo con programmazione e avanzamento dei lavori e rischiamo di perderle.
I motivi sono molti tra cui la difficoltà a fare un salto di mentalità. I soldi del Pnrr vanno spesi su progetti presentati che devono rispondere ai criteri del do not significant harm, ovvero essere coerenti con il processo di transizione energetica che richiede progressi significativi in uno dei sei settori della sostenibilità ambientale (mitigazione, adattamento, acqua, qualità dell’aria, biodiversità, economia circolare) senza sostanziali peggioramenti nelle altre. È necessario un cambio di mentalità. È capitato di assistere a riunioni dove ci si aspettava (con la vecchia mentalità spartitoria) che le risorse fossero semplicemente divise per il numero di partecipanti mentre chi conosce la logica del Pnrr ribadiva che le risorse sono impiegabili solo se ci sono buoni progetti.
Eppure, i ritardi (di tempi e di mentalità) di cui si parla in questi giorni potrebbero essere una grande occasione. La transizione ecologica è ormai uno scenario condiviso dai principali attori globali che si è trasformato anche in una contesa industriale. Gli Stati Uniti con l’Inflation Reduction Act hanno varato un piano imponente di incentivi per le imprese nazionali volte all’adozione di tecnologie green, la Cina ha programmato di arrivare nel 2060 a un mix energetico che azzera le fonti fossili (un terzo eolico, un terzo fotovoltaico, un terzo nucleare) e già gode di un vantaggio nelle disponibilità di materie prime per la transizione e produzione di alcuni semilavorati fondamentali. L’Europa risponde con RepowerEU e con un programma per colmare il gap sulle materie prime e sulle terre rare.
Dobbiamo orientare le risorse del Pnrr per inserirci opportunamente in questo scenario perché l’emergenza ambientale è già oggi emergenza sociale. L’Italia da sempre ricca di acqua ha perso il 20% delle proprie risorse idriche nell’ultimo decennio e la scarsità di precipitazioni con periodi di siccità sta diventando una caratteristica stabile del nostro contesto climatico. Già in questi anni l’agricoltura sta subendo conseguenze pesanti del riscaldamento globale e cerca di adattarsi. Al Nord si sperimentano colture del riso che economizzano acqua, mentre cambiano le stagioni di raccolta e vendemmia e le aree e l’esposizione in cui produrre vino. La Banca Mondiale prevede, intanto, centinaia di milioni di migranti climatici che si sposteranno dalle zone più calde del pianeta verso le zone ancora abitabili.