di Elena Comelli.
«Il mondo è pronto per il cambiamento». Ne è convinta Christiana Figueres, numero uno dell’Unfccc, l’organismo delle Nazioni Unite che guida il dibattito sul clima. A una ventina di giorni dalla conferenza sul climatechange di Parigi (Cop21 inizierà il 30 novembre), la signora del clima twitta di una «svolta» imminente e a buon diritto: in dicembre si dovrebbe concludere, dopo oltre vent’anni di mediazione, il primo accordo vincolante e universale per contenere il riscaldamento del pianeta entro la soglia critica dei 2°C dai livelli preindustriali, limite massimo fissato dai climatologi, oltre il quale gli attuali squilibri potrebbero assumere caratteri catastrofici.
La «svolta» s’intravvede già dal fatto che i due pesi massimi delle emissioni globali, Cina e Stati Uniti, hanno finalmente messo nero su bianco i propri impegni a ridurre le emissioni di gas a effetto serra, insieme a oltre 150 Paesi – che con Usa e Cina sono responsabili del 90% circa delle emissioni mondiali -, nel rispetto della richiesta dell’Onu di presentare i propri piani volontari di riduzione prima della conferenza (grandi assenti sono i Paesi del Golfo produttori di petrolio). È stata questa la mossa decisiva per spezzare la catena di fallimenti, che avevano funestato i negoziati sul clima negli ultimi anni, rendendoli ormai quasi irrilevanti agli occhi del grande pubblico.