Dal sette a trenta per cento in cinque anni. Un’accelerazione non sarebbe stata affatto pensabile senza la legge Golfo-Mosca, che nel 2012 ha introdotto le quote di genere nella composizione dei cda delle società quotate e partecipate pubbliche. Una legge che ha proiettato l’Italia fra le best practice europee accanto a Finlandia, Francia e Svezia (la Norvegia viaggia attorno al 40%, quota prevista per legge).
L’obiettivo della legge italiana, quindi, è stato praticamente raggiunto e sarà consolidato dal prossimo triennio di rinnovi. Ben inferiore è stato, invece, l’effetto avuto sulla scelta dei vertici aziendali: se da una parte in numero delle presidenti a Piazza affari è salito a 21 (3,1% contro il 2.5% del 2013), quello dei ceo è salito in termini assoluti (17 contro 13), ma sceso in percentuale dal 3,2% al 2,5 per cento. Stesso discorso si può fare per i consiglieri: le donne sono la maggior parte degli indipendenti (68,6%), mentre la percentuale è esigua fra gli executive.
La fotografia emerge dai dati Consob che presentati in anteprima oggi a Piazza Affari al convegno “S.m.a.r.t. boards for smart companies”,organizzato da Valore D e In the Boardroom in partnership con Borsa Italiana, Osservatorio Aub e Politecnico di Milano. “Maggiore è la diversità dei board e migliore è la governance, non solo se si tratta di diversità di genere” sottolinea Carmine di Noia, commissario Consob, che non crede che allo scadere della legge Golfo-Mosca (valida per tre rinnovi) le donne possano diminuire nei cda: “Non penso proprio che scaduta l’efficaci della legge si torni indietro. In questo momento non credo proprio siano una forzatura le nomine al femminile”.
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