A un estremo ci sono le aziende, in genere quelle più grandi, ormai convinte del fatto che sostenibilità fa rima con competitività, innovazione, redditività, business. Per cui vi investono e pensano di farlo sempre di più. All’altro estremo ci sono quelle che non ci credono, ma sono sempre meno. Nel mezzo, le aziende che attuano iniziative di sostenibilità in una prospettiva più che altro di conformità (compliance) a regolamenti, standard, requisiti, specie quando si muovono sui mercati esteri dove ormai la sostenibilità è data per scontata e a volte costituisce una condizione necessaria per aprire una trattativa commerciale. Tirate le somme, comunque, il verbo della sostenibilità ha ormai trovato ascolto fra le imprese, nel mondo e anche in Italia. Come afferma una vasta ricerca presentata a Milano da DNV GL e EY, col supporto di Gfk Eurisko, dove sono intervenute a dare testimonianza di quanto stanno facendo su questo fronte Bolton Alimentari, Enel, Gruppo Hera, Intesa Sanpaolo e Pedon.
Secondo lo studio (1525 i professionisti di aziende a livello mondiale del campione, 193 le aziende italiane), più di un’azienda italiana su due (51% contro il 59% nel mondo) ha adottato una strategia politica di sostenibilità: in particolare le aziende italiane puntano su riduzione dell’impatto ambientale (35%), diffusione della cultura della sostenibilità (29%) e dialogo con gli stakeholder (19%). Il 40% (49% nel mondo) ha anche definito obiettivi misurabili per l’integrazione della sostenibilità e il 51% (superiore al dato mondiale, pari al 47%) ritiene che i benefici delle azioni intraprese siano maggiori dei costi. Meno di un terzo, però (29% contro il 35% nel mondo), pensa che nei prossimi tre anni il proprio business sarà profondamente condizionato dal tema della sostenibilità, anche se nello stesso periodo il 45% delle aziende in Italia (come nel mondo) investirà in sostenibilità più di oggi.