di Antonello Cherchi.
L’Art bonus dà segni di vitalità. A fine ottobre scorso – quando si fece il primo bilancio del credito d’imposta del 65% introdotto nel 2014 a favore degli investimenti in cultura – si erano presentati all’appello 773 mecenati, che avevano messo a disposizione quasi 34 milioni di euro per i restauri o il sostegno di enti e associazioni, comprese le fondazioni liriche. Non un risultato eccezionale, se si pensa alla vastità del nostro patrimonio e al peso dell’incentivo fiscale, il più sostanzioso – ha ripetuto più volte il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini – di tutta l’Europa.
Già a fine anno quel bilancio risultava più confortante: i milioni raccolti erano diventati 57 e i mecenati 1.400. È bastato il solo mese di gennaio perché i numeri crescessero ancora: ora le erogazioni liberali hanno toccato quota 62 milioni (quasi un raddoppio su ottobre) e i sostenitori del Bello hanno superato i 2mila (per l’esattezza, 2039).
E oltre alle persone fisiche (l’Art bonus ha introdotto per la prima volta in Italia il micro-mecenatismo) iniziano a farsi avanti anche le imprese: il 61% dei contributi arriva da lì. Però manca ancora «il protagonismo delle grandi aziende». Lo ha sottolineato ieri a Roma Franceschini nel corso del convegno “Chiamata alle arti. Mecenatismo e imprese”, organizzato per sensibilizzare il mondo imprenditoriale sulle opportunità per chi aiuta la cultura e durante il quale il ministro ha aggiornato i dati sull’andamento dello sconto fiscale per l’arte, la cui crescita rappresenta «una vera e propria rivoluzione culturale, perché introduce nel nostro Paese il mecenatismo». Oltre a rappresentare un significativo aiuto per tutelare e valorizzare il patrimonio.
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