ROMA – Un’Italia sempre più disgregata, impaurita, incattivita, impoverita, e anagraficamente vecchia. Il 52° Rapporto Censis parla di “sovranismo psichico” e delinea il ritratto di un Paese in declino, in cerca di sicurezze che non trova, sempre più diviso tra un Sud che si spopola e un Centro-Nord che fa sempre più fatica a mantenere le promesse in materia di lavoro, stabilità, crescita, soprattutto futuro. “Il processo strutturale chiave dell’attuale situazione è l’assenza di prospettive di crescita, individuali e collettive”, sintetizza il Censis.
Gli italiani sono profondamente delusi, spiega il direttore generale del Censis, Massimiliano Valerii: “Una prima forte delusione è quella di aver visto sfiorire la ripresa che l’anno scorso e fino all’inizio di quest’anno era stato vigorosa, e che è invece svanita sotto i nostri occhi, con un Pil negativo nel terzo trimestre di quest’anno dopo 14 mesi di crescita consecutiva. L’altra è che l’atteso cambiamento miracoloso promesso dalla politica non c’è stato, oltre la metà degli italiani afferma che non è vero che le cose siano cambiate sul serio. E adesso è scattata la caccia al capro espiatorio: dopo il rancore, è la cattiveria che diventa la leva cinica di un presunto riscatto”.
Il miracolo italiano è diventato un incubo. Non c’è più la speranza di migliorare, di crescere, e questo ha rotto il patto con la politica. Il 96% delle persone con un basso titolo di studio e l’89% di quelle a basso reddito sono convinte che resteranno nella loro condizione attuale, ritenendo irrealistico poter diventare benestanti nel corso della propria vita, rileva il Censis. “È il rovescio del miracolo italiano, il sogno si è trasformato in incubo, è una cosa che scava nella storia”, afferma Valerii, ricordando come solo il 23% degli italiani affermi di aver migliorato la propria condizione socioeconomica rispetto ai genitori (la quota più bassa in tutta Europa) e il 63,6% sia convinto di essere solo, senza nessuno che ne difenda gli interessi.
La paura degli immigrati. Qualche cifra: il 63% degli italiani vede in modo negativo l’immigrazione dai Paesi non comunitari, il 58% pensa che gli immigrati sottraggano posti di lavoro ai nostri connazionali, il 75% che l’immigrazione aumenti il rischio di criminalità. Il potere d’acquisto degli italiani è inferiore del 6,3% in termini reali rispetto a quello del 2008, ma soprattutto il problema è il timore di spendere anche quello che si ha, infatti la liquidità ferma cresce, nel 2017 superava del 12,5% quella del 2008. Ma a spendere meno sono gli operai e chi sta peggio, nelle famiglie di imprenditori la spesa per consumi tra il 2014 e il 2017 è aumentata del 6,6%.
Italia fanalino di coda nella spesa in istruzione. Si investe sempre meno in formazione: investe poco lo Stato, si ritrae anche il cittadino. Nella distribuzione delle risorse disponibili, rileva il Censis, alla tradizionale sproporzione tra gli investimenti nei segmenti scolastici iniziali e l’Università (meno finanziata) si è sostituito “un omogeneo volare basso che ci colloca in tutti i casi al di sotto della media europera”. L’Italia investe infatti il 3,9% del Pil, mentre la media europea è del 4,7%. Investono meno di noi solo Romania, Bulgaria e Irlanda.
Meno lauree, trionfa il mito “social”. I risultati si concretizzano in un tasso di abbandoni precoci dei percorsi di istruzione del 18% dei giovani tra i 18 e i 24 anni, quasi doppio rispetto a una media europea del 10,6%, nelle basse performance dei quindicenni italiani nelle indagini Ocse-Pisa, e in 13 punti percentuali di distanza che ci separano dal resto dell’Europa in relazione alla quota di popolazione giovane laureata. I laureati italiani tra i 30 e i 34 anni raggiungono il 26,9%, contro una media Ue del 39,9%. Le speranze dei giovani si stanno a poco a poco concentrando altrove: la metà della popolazione italiana è convinta che oggi chiunque possa diventare famoso, e il dato sale al 53,3% tra i giovani tra i 18 e i 34 anni. E un terzo ritiene che la popolarità sui social network sia un elemento indispensabile per arrivare alla celebrità.
La scomparsa dei giovani. D’altra parte tra il 2007 e il 2017 gli occupati giovani, di età compresa tra 25 e 34 anni, si sono ridotti del 27,3%, mentre nello stesso tempo gli occupati tra i 55 e i 64 anni sono aumentati del 72,8%. In dieci anni siamo passati da un rapporto di 236 giovani laureati occupati ogni 100 anziani a 99. E nel segmento di lavoratori più istruiti i 249 laureati occupati ogni 100 lavoratori anziani sono diventati appena 143. Mentre sono aumentati i giovani in condizione di sottoccupazione, nel 2017 erano 237.000 tra i 15 e i 34 anni, un valore raddoppiato rispetto a sei anni prima. Aumentano anche i giovani lavoratori con part-time involontario, che passano a 650.000 nel 2017, 150.000 in più rispetto al 2011.
Aumenta lo squilibrio tra Nord e Sud. L’uscita graduale (e non completa) dalla crisi è andata su due binari che si sono allontanati sempre di più. Lombardia ed Emilia Romagna sono in pieno recupero, poi arrivano sempre con un buon ritmo anche Veneto e Toscana, il Lazio rimane 5 punti indietro, la Sicilia 10. E non è un problema del solo Mezzogiorno: anche le Regioni colpite dal terremoto sono bloccate, il Pil dell’Umbria è 12 punti indietro rispetto al 2008. E quindi il flusso dei lavoratori si sposta verso i territori più floridi: a Bologna il tasso migratorio è di 18,9 su 1000 abitanti, a Milano di 15,3 migranti, a Firenze di 13,2, mentre nel Mezzogiorno si contrappone la fuga dei residenti, 3,6 per ogni 1000 abitanti a Bari, 5,9 a Napoli, addirittura 9,2 a Palermo.
Lontani dalla politica, europeisti solo i giovani. Quasi un terzo degli italiani non vota, o vota scheda bianca. Indifferenza e sfiducia nei confronti della politica sono aumentati negli anni, e quest’anno si è raggiunto il picco, con una percentuale del non voto che ha raggiunto il 29,4%. Significa 13,7 milioni di elettori mancati alla Camera e 12,6 milioni al Senato alle ultime elezioni politiche. Scarsa anche la fiducia nell’Europa, atteggiamento comune a tutti i Paesi in crisi. Ma il 58% dei 15-34enni e il 60% dei 15-24enni apprezza l’Unione, soprattutto per la libertà di viaggiare, studiare e lavorare ovunque all’interno dei Paesi membri.