C’è chi, come la società di servizi ristorazione e ricevimenti Summertrade di Rimini, recupera 11mila piatti gourmet destinati al macero e li dona agli indigenti; c’è chi, come la Nestlé Italia, nel tempo ha imparato a ridurre gli sprechi, donando il 100% del surplus nei prodotti “best before” (quelli, per intenderci, con la dicitura “da consumarsi preferibilmente entro”); c’è chi, come la Cuki (packaging alimentare), si dà da fare perché il cibo non consumato in mense ospedaliere o aziendali non vada perduto, anzi redistribuito (in cinque anni ben 2,5 milioni di porzioni), a favore dei poveri; c’è addirittura chi, come nel caso della campagna Viakal promossa in questi mesi da P&G, si impegna a “trasformare” la lotta al calcare in un contributo contro lo spreco alimentare.
Non c’è che dire: l’impegno e la fantasia, alle aziende che operano nella filiera alimentare, non mancano certo, pur di sconfiggere lo spreco. I numeri (fonte: Politecnico di Milano) fanno impressione: dai campi al consumatore finale ogni anno in Italia 5,6 milioni di tonnellate di cibo vengono prodotte in eccedenza e ben 5,1 milioni diventano spreco, per un valore di 12,6 miliardi di euro. In pratica, 210 euro per persona all’anno che finiscono tra i rifiuti. Fortunatamente la cultura del recupero si sta facendo strada, visto che le eccedenze recuperate e redistribuite negli ultimi quattro anni sono cresciute dal 7,5% al 9% attuale, ma molto resta da fare.
Clicca qui per leggere l’articolo