Nel film di animazione “Inside out” si racconta di come i comportamenti di una bambina (divenuta adolescente nel sequel) siano frutto di una continua “battaglia” tra sentimenti contrastanti: gioia, rabbia, tristezza, ecc. Usando lo stesso meccanismo per descrivere come reagiamo alle notizie sulla fame e la malnutrizione nel mondo, credo che i protagonisti del film sarebbero: noia, scetticismo, assuefazione, disinteresse e così via.
Purtroppo, il nostro cinismo non risolve, e non risolverà in futuro, questo problema che affligge oltre 730 milioni di persone in tutto il mondo, circa il 9% della popolazione mondiale. Peraltro, come evidenziato nel rapporto redatto da cinque organizzazioni internazionali in occasione della riunione di questa settimana del G20 a presidenza brasiliana (a cui Avvenire ha dedicato l’apertura dell’edizione di giovedì), l’incidenza della fame e della malnutrizione è sostanzialmente stabile dal 2020 e nel 2030, a meno di un radicale cambio delle politiche, avremo ancora circa 580 milioni di persone in questa condizione, a fronte dell’obiettivo “fame zero” sancito nell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile concordata dai 193 Paesi dell’Onu nel 2015. Il fenomeno riguarda soprattutto l’Africa (dove una persona su cinque soffre di questa deprivazione), mentre in Asia il fenomeno è stabile e è in significativa riduzione in America Latina. Se invece guardiamo al concetto di “insicurezza alimentare”, cioè la possibilità di seguire una dieta appropriata, allora abbiamo circa 2,3 miliardi di persone (il 28,9% della popolazione mondiale) in tale condizione.