Ricorderemo questi mesi come quelli nei quali è diventato evidente, su scala globale, quale sia il prezzo vero ed ultimo della non sostenibilità: lo sgretolamento delle istituzioni, lo svuotamento culturale e valoriale delle stesse e le conseguenti imprevedibili trasformazioni sociali e del nostro vivere civile.
Indugio su questa riflessione dopo aver ascoltato Enrico Giovannini presso la Fondazione Feltrinelli, e penso che benché avessimo previsto un conto salatissimo per la sostenibilità mancata, lo avevamo immaginato differito nel tempo e non certo in questa forma così improvvisa e violenta.
E invece il frutto avvelenato di un modello di crescita non sostenibile si presenta oggi ed improvvisamente in forma di diseguaglianza, esclusione e rabbia sociale.
Da questo nasce l’urgenza e l’imperativo di ridefinire i termini dell’agenda di sostenibilità passando dalla fase dell’advocacy e della narrativa alla fase della radicalità.
Radicalità significa non accondiscendere, in campo finanziario o imprenditoriale, ad interpretazioni di maniera del concetto di sostenibilità, relegandolo ad una dimensione di marginalità e lateralità.
Radicalità significa per imprenditori, investitori e filantropi riconoscere l’insostenibilità di un modello nel quale si allocano risorse proprio a quelle attività che generano squilibri e diseguaglianza per poi tentare di mitigare le conseguenze delle stesse con azioni compensative di supposta responsabilità.