Lo studio Iref (Acli): per gli italiani sotto i 30 anni l’«imprinting» della precarietà
Roma _ Li chiamano i «nativi precari». Sono gli italiani sotto i 30 anni, nati durante la crisi: «Loro non hanno conosciuto altro e sanno che il lavoro è e sarà sempre un problema».
Uno studio dell’Iref, l’ente di ricerca delle Acli, li ha intervistati (i risultati nel libro curato da Gianfranco Zucca, Il ri(s)catto del presente, Rubettino) e ha scoperto che i nati negli anni ‘90 sono disposti a rinunciare ad alcuni diritti pur di ottenere (e mantenere) un posto di lavoro, ma anche per raggiungere una meta professionale.
È il «lavoro in deroga», come lo chiama Zucca. Che per i millennials significa rinunciare ad alcuni o anche a tutti i diritti pur di lavorare. La ricerca parla di «obbedienza preventiva alla precarietà», una sorta di imprinting per i nostri giovani «talmente incorporata nelle loro vite da far loro accettare in maniera preventiva le penalizzazioni del mercato del lavoro».
Riguarda il 35% degli intervistati, percentuale che sale al 38% se l’under 30 non è laureato e vive in Italia, mentre tocca appena l’11,3% se vive all’estero: anche se «nativi precari», gli expat italiani fanno esperienza di un mercato del lavoro meno bloccato e quindi sono meno disposti a rinunce, come invece i coetanei rimasti in patria.
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