di Elio Silva.
«Misura ciò che è misurabile e rendi misurabile ciò che non lo è». Il motto di Galileo, solitamente richiamato a fondamento della moderna cultura scientifico-sperimentale, è tornato d’attualità anche negli studi sul non profit. Il Terzo settore ha sempre sofferto di una cronica carenza di informazioni statisticamente aggregate, un po’ per l’arco temporale decisamente lungo tra le successive rilevazioni di fonte pubblica (il Censimento Istat cade a scadenza decennale anche se, dal prossimo anno, l’Istituto ha annunciato un monitoraggio e una “manutenzione” annuale dei dati sul non profit), un po’ per la varietà delle forme giuridiche e organizzative delle organizzazioni senza scopo di lucro, complessità che ha dato luogo a molte ricerche di ambito specifico, tanto lodevoli quanto difficili da integrare in un unico database.
Da una parte la sempre più diffusa esigenza di valutazione dell’impatto sociale sta spingendo il non profit produttivo, in particolare l’impresa sociale, a una reportistica più completa e omogenea, con forti connotati di innovazione (l’obiettivo è, appunto, quello di rendere misurabile anche ciò che non lo è, come il valore sociale aggiunto prodotto dalle attività svolte).