Uno studio di esperti indipendenti nominato dalla Commissione europea ha delineato una strategia per un’industria sostenibile, che in ottica di sistema rappresenta un’agenda politica trasformativa del nostro modello di sviluppo.
Il 13 gennaio 2022 è stato pubblicato uno studio dall’Esir (Gruppo di esperti sugli impatti economici e sociali della ricerca e dell’innovazione), incaricato dalla Commissione europea, sul tema “Industria 5.0”.
Il Gruppo di esperti è presieduto da Sandrine Dixson-Declève, co-presidente del Club di Roma, e si compone di14 esperti tra cui Enrico Giovannini.
Il nuovo studio, esteso nella forma di un sintetico documento (il terzo di una serie di analisi avviata nel maggio 2020), auspica che l’industria europea assuma un ruolo centrale per una trasformazione sistemica che sia finalizzata al benessere planetario.
Inoltre, spinge a un impegno più forte delle politiche europee nella trasformazione dell’attuale paradigma economico, e indica una serie di misure di sostegno correlate, quali un governo 5.0 che sia abilitativo del processo trasformativo di Industria 5.0.
Il presupposto è la presa di coscienza dell’emergenza e della dimensione delle sfide ambientali-climatiche e sociali, da affrontare ora e senza più rinvii: come trasformare velocemente la vita umana in maniera adeguata per consentire a 8 miliardi di persone di vivere in maniera sostenibile e pacifica entro i limiti planetari?
L’Esir evidenzia che la dimensione delle sfide supera i confini dell’Europa, ma che l’Ue può comunque assumere una leadership globale se rafforza la sua coesione interna e parla con un’unica voce.
É necessaria però una concreta visione oltre il Pil. La strategia industriale incentrata sugli elementi costitutivi dell’Industria 5.0, dunque resiliente, sostenibile, rigenerativa e circolare, deve superare modelli di sovrapproduzione e consumo a breve termine determinati dall’attuale paradigma di crescita.
Ciò dovrebbe avvenire già con le misure economiche di ripresa dalla crisi Covid-19, ma in proposito, l’Esir esprime un giudizio non positivo: una prima analisi critica dei Piani nazionali di resilienza e ripresa disponibili ha mostrato che gli Stati membri hanno dato priorità a misure volte a “proteggere” le attività economiche e sociali in corso – tutelando così gli interessi acquisiti – e mitigando così gli effetti a breve termine della pandemia, piuttosto che creare i presupposti per il cambiamento.