Romana, laurea in Economia alla Sapienza, è la presidente della farmaceutica Sosepharm. Sta sperimentando su piattaforme vegetali (piantine di riso) la creazione di farmaci biosimilari per la cura di malattie autoimmuni e del cancro al seno. In Unindustria Lazio è vice presidente con delega a Etica e legalità.
Nella sua fabbrica del futuro si sta sviluppando, con l’utilizzo di piattaforme vegetali, lo studio su un farmaco antitumorale destinato a trattare malattie autoimmuni e il cancro al seno. L’innovazione negli impianti e la ricerca sui farmaci biosimilari definisce la nuova sfida dell’imprenditrice Sabrina Florio, che dei medicinali no logo ha fatto il core business della Sosepharm, l’azienda di famiglia di cui è presidente.
Una holding a cui fanno capo due stabilimenti, lo Special product’s line spa di Anagni e la Esseti farmaceutici srl, nell’area industriale di Pomezia. Il gruppo occupa 400 persone e nel 2016 ha fatturato 107 milioni di euro.
Dagli impianti escono duecento milioni di confezioni all’anno che imboccano due strade: specialità farmaceutiche e dispositivi medici commercializzati dalla Sosepharm, e prodotti generici per conto di sessanta case farmaceutiche italiane e internazionali. A Pomezia, in particolare, nascono antibiotici realizzati quasi esclusivamente per il mercato cinese.
Sabrina Florio, nata a Roma nel 1968, dopo il liceo scientifico al Massimo, l’istituto dell’Eur retto dai gesuiti, si è iscritta all’università la Sapienza per laurearsi poi nel 1992 in Economia e commercio con una tesi sul settore farmaceutico. “Era il campo in cui lavorava la mia famiglia – spiega – ed era già nelle mie intenzioni una volta finiti gli studi entrare nella società e prendere parte all’impresa”.
Due anni dopo, con i fratelli di poco più piccoli Massimiliano e Francesco, rispettivamente oggi amministratore delegato della Sosepharm e responsabile dell’export, Sabrina mette mano alla riorganizzazione dell’azienda creata dal padre Orazio Armando nel 1978. Informatore farmaceutico, siciliano di Catania, il fondatore della società aveva realizzato il suo primo stabilimento a Pomezia, nel territorio bonificato dell’ex palude pontina, usufruendo dei finanziamenti che in quegli anni venivano offerti agli imprenditori dalla Cassa per il Mezzogiorno. Quello di Anagni è uno stabilimento recuperato successivamente da un fallimento. I Florio lo hanno rilevato, assumendo personale del distretto di Frosinone. “Abbiamo investito in modo consistente – ricorda l’imprenditrice -, puntando molto sui giovani e sulle pari opportunità. Da noi tanti manager nell’amministrazione e nel controllo qualità sono donne”.
Quando la famiglia Florio comincia a produrre i medicinali generici equivalenti, intorno al 1994, l’industria farmaceutica nel Lazio subiva i colpi della crisi. In quel periodo li chiamavamo farmaci copia, si commercializzavano quando scadevano i brevetti degli originator. “Non avevano molto seguito e il nostro poteva sembrare un progetto utopistico e avventuroso. Invece noi ci abbiamo puntato e deciso che sarebbe stata quella la strada da percorrere. Mio padre è stato in seguito molto bravo a valorizzare i talenti e a ripartire tra i figli i compiti in modo che ciascuno potesse fare la propria parte in azienda secondo le proprie inclinazioni e gli studi svolti”. Così è stato per il know how scientifico che aveva Massimiliano, laureato in farmacia, per la predisposizione ai viaggi di Francesco, per Sabrina gli studi economici che hanno tracciato la strada di quello che sarà il suo ruolo nella società. “Il mio compito è stato fin dall’inizio seguire la parte amministrativa e finanziaria e occuparmi del rapporto con le banche e con le istituzioni sanitarie. Nel 2004 è morto mio padre e con noi è rimasta mia madre Graziella, che lo ha sostenuto sempre lavorando accanto a lui. Per me la loro unione è stata un esempio”.
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