Mentre a Torino si inaugura il Salone del libro dovremmo fermarci a riflettere sulla stretta correlazione esistente tra la diffusione dei libri e la ricchezza di un Paese. In Europa, le nazioni che registrano il più alto numeri di lettori sono anche quelle che hanno il più elevato potere d’acquisto pro capite, la più bassa disoccupazione, la più alta crescita.
Nella comparazione europea, l’Italia non è messa bene. Un italiano su due dichiara di non aver letto neanche un libro in un anno. Il nostro Pese si colloca ben al di sotto della media europea e a grande distanza dalla Svezia, dalla Danimarca, dal Regno Unito, dalla Germania, dove la netta maggioranza dei cittadini è comporta da lettori di libri. Meno di noi leggono solo i greci, i polacchi, i portoghesi.
Lo stesso vale per tutti gli altri consumi culturali: siamo il fanalino di coda anche sul teatro, i concerti, i musei…
Se accostiamo la classifica della cultura a quella dell’economia ritroviamo i Paesi nelle stesse identiche posizioni. Il tasso di disoccupazione italiano è superiore a quello dei Paesi di molti lettori. Lo stesso vale per la percentuale dei cosiddetti “Neet” cioè i giovani tra i 16 e 29 anni che né studiano né lavorano: in Italia il 26% contro il 16% della media europea, il )% della Svezia, della Danimarca e della Germania. E i rapporti non cambiano se guardiamo alla crescita: i dati dell “Economist” evidenziano come nel decennio 2004-2014 i Paesi di forti lettori (che già hanno i più alti livelli di reddito pro capite) continuano a crescere mentre l’Italia condivide il triste primato della decrescita (infelice) ancora una volta con Grecia e Portogallo.