Un anno fa, attraverso i commi dal 376 al 384 della legge di Stabilità per il 2016, è stata introdotta nel nostro ordinamento la forma giuridica della società benefit, versione tricolore della B – Corp americana, già diffusa in 46 Paesi, con oltre 2mila aziende globalmente certificate. Obiettivo dell’innovazione è la promozione di un modello di impresa o di organizzazione che operi, oltre che per conseguire profitto, anche a vantaggio di persone, comunità e territori, dichiarandolo già nello statuto sociale e impegnando di conseguenza gli amministratori, con relativi vincoli di trasparenza.
Superata la boa del primo anno di applicazione, è possibile anche tracciare un bilancio del gradimento che ha incontrato nel nostro panorama d’impresa. Il network Odib, Officina delle idee benefiche, ha svolto una ricerca attraverso i registri camerali (non è prevista una sezione ad hoc nel Registro imprese) e ne ha presentato i risultati in un convegno promosso a Milano dallo studio legale e tributario Legalitax.
Al 31 dicembre 2016 risultavano iscritte come società benefit 64 imprese, di cui 44 con sede legale al Nord, 11 al centro e 9 nel Mezzogiorno. Per il 60% si tratta di società con capitale sociale minimo (fino a 10mila euro), mentre solo due hanno una capitalizzazione superiore al milione di euro. Dal punto di vista della compagine sociale, 13 fanno capo a enti non profit, 11 sono controllate da società commerciali e ben 29 sono partecipate solo da persone fisiche. Quanto, invece, ai settori d’attività, prevalgono agroalimentare, sanità-selfcare e ambiente.
Come leggere questi dati? Per Mauro del Barba, il senatore Pd considerato “padre” della nuova forma giuridica in quanto primo firmatario del disegno di legge che, all’alba dell’aprile 2015, aveva introdotto il tema in Parlamento, “l’accoglienza degli imprenditori è stata importante e, al di là di quanti hanno già ultimato il precorso di accreditamento, ci sono imprese di ogni dimensione che hanno iniziato il percorso di avvicinamento. Il nuovo modello, oltre a cambiare il dna naturale dell’impresa, abbatte quel muro un po’ innaturale che da sempre esiste fra i settori profit e non profit. Gli imprenditori, specie quelli italiani, vogliono essere protagonisti del cambiamento di paradigma in senso sostenibile”.