Nel suo intenso incontro con i lavoratori dell’Ilva di Genova, papa Francesco ha ricordato che il lavoro è e rimane una priorità della vita personale e collettiva. Una verità tanto semplice eppure così platealmente negata. Nel suo discorso, però, Francesco si è spinto un passo oltre: e, rivolgendosi insieme a imprenditori e operai, ha tracciato i lineamenti di un’economia che, ponendo al centro l’opera umana, torni a essere più giusta. E, aggiungiamo noi, anche più produttiva.
Rivolgendosi agli operai Bergoglio ha detto che il lavoro comincia col «lavorare bene, per dignità e per onore». La lotta all’alienazione comincia dentro di noi: la dignità del proprio lavoro — così frequentemente calpestata oggi — si radica nel sapere dare valore a ciò che si fa e a come lo si fa. Cedere su questo punto è il primo passo per consegnarsi nelle mani degli sfruttatori.
Ma certo, la dignità del lavoro non dipende solo dal lavoratore. Ecco allora il profilo dell’imprenditore secondo papa Bergoglio: «Una persona che lavora accanto ai suoi operai, che li conosce, che ne condivide le gioie e le fatiche. Consapevole dell’importanza del lavoro per la vita di ciascuno, fa di tutto per evitare anche solo un licenziamento, facendosi venire buone idee per evitare di licenziare». Su questa linea, Francesco non si è tirato indietro, arrivando a dire ciò che da troppo tempo abbiamo smesso di gridare: e cioè che quando gli imprenditori si trasformano in speculatori l’economia si ammala. E per sostenere il suo punto di vista, papa Francesco ha citato un liberale come Luigi Einaudi: «Milioni di individui lavorano, producono e risparmiano nonostante quello che si fa per ostacolarli. Costituiscono una molla di progresso potente. Ci sono imprenditori che investono ingenti capitali ottenendo utili più modesti di quelli che potrebbero ottenere con la speculazione». Non c’è buona economia, ha concluso Bergoglio, senza buoni imprenditori.