Bisogna governare la rivoluzione tecnologica in corso con le armi dell’istruzione, della formazione e della ricerca puntando a una “crescita inclusiva” da misurare non più solo a colpi di Pil. L’alternativa altrimenti sarà l’allargamento della faglia fatta di diseguaglianze che già oggi divide il mondo in due, ma anche i Paesi al loro interno.
La sfida sul «ruolo della scienza nella crescita economica» è stata lanciata ieri dal G7 delle Accademie scientifiche – riunite a Roma ai Lincei – in una delle tre raccomandazioni ai Governi, in vista del summit di Taormina a fine maggio, che sono state consegnate in serata al capo dello Stato, Sergio Mattarella. Le altre due raccomandazioni riguardano la promozione della «resilienza del patrimonio culturale ai disastri naturali» e la necessità di arginare lo “tsunami” delle malattie neurodegenerative che nel 2050 colpirà 135 milioni di persone.
Sfide che ieri ha provato a raccogliere subito il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan davanti ai rappresentanti di 250 accademie di tutto il mondo (e più tardi alla Sapienza dopo la Lectio magistralis di Joseph Stiglitz), ricordando che la «crisi non è dietro di noi» e che le «diseguaglianze sono aumentate in tutti i Paesi» mentre si aggiunge il «cambiamento strutturale» provocato dall’impatto della tecnologia sul capitale umano e sulla produttività: «È una delle grandi sfide che la politica internazionale deve affrontare e sarà al centro della presidenza italiana del G7, insieme alla crescita inclusiva».
Una delle cause della crisi, ha sottolineato il ministro, è il fatto che si misura la crescita ricorrendo solo a «una unica dimensione, quella del Pil». Bisogna invece «arricchire il set di misurazione con nuovi indicatori», come ha fatto l’Italia che, prima «tra i Paesi avanzati» ha introdotto con l’ultimo Def tra i criteri di valutazione delle politiche economiche i «Bes», gli «indicatori del benessere sostenibile»..A livello internazionale invece G20 e G7 hanno finalmente indicato come «obiettivo dichiarato una crescita forte e sostenibile ma anche inclusiva». Una strada obbligata perché, come mostrano tutte le ultime tornate elettorali, cresce lo «scetticismo tra i cittadini per la politica e i politici considerati incapaci di affrontare le sfide poste dal cambiamento».