Vista da Omegna l’impresa Italia è un’altra cosa. Intanto ci sono le persone: quelle che aiutano, che danno e che ricevono. Poi c’è il prodotto: Alessi, marchio storico degli oggetti in acciaio, design, innovazione, avanguardia. Infine il profitto: se non si fanno utili, la partita è persa. Così si resiste al mercato globale e alla tentazione di delocalizzare, con tre «p» inchiodate nello statuto aziendale, come teorizzava in Bocconi il professor Vittorio Coda all’inizio degli anni Ottanta: un modo per creare appartenenza e qualità civile, senza disdegnare il business.
A Omegna, distretto delle pentole e dell’acciaio, la crisi, la concorrenza e il mercato si sono portati via un pezzo di storia: Girmi, Lagostina, Bialetti, marchi famosi nell’Italia del boom. Alessi no, la fabbrica dei sogni con le caffettiere di Castiglioni e lo spremitore di Philippe Stark è rimasta dov’era. Stesse radici, stesso disegno aziendale: realizzare prodotti che servono i bisogni e si ispirano all’arte e alla poesia.
Ma c’è un di più che non si quantifica nel business: si chiama responsabilità sociale. Oltre a creare e mantenere posti di lavoro, l’azienda diventa un’impresa per il bene comune.
Alessi di questo ha fatto un distintivo che oggi diventa B Corp, sigla nata in America che distingue le aziende che si danno obiettivi a impatto positivo, capaci di creare valore per gli azionisti e per la comunità in cui operano. In Italia non è la prima, ce ne sono già una cinquantina, ma è la prima grande azienda che lo diventa dopo un’istruttoria di due anni.
Sentenzia la Harward Business Review: intorno alle duemila B Corp nel mondo sta nascendo un nuovo settore dell’economia, capace di disegnare il futuro del capitalismo.