23 giugno 2016 – La crisi, che pare finalmente allentare la presa sul Paese, ci lascia un’eredità fatta non solo di sofferenze ma anche di consapevolezza: ci ha insegnato che nel mondo globale del XXI secolo bisogna essere capaci di affrontare il cambiamento, che si tratti di shock economici o di rivoluzioni come quella del digitale o della green economy. In questo mondo nuovo, una cosa più di ogni altra può aiutare la navigazione: è un’idea di futuro, una missione che guidi il Paese unito e solidale nelle acque incerte di questo nuovo secolo.
Un’Italia che fa l’Italia può trovare un aggregatore dei talenti migliori, un catalizzatore di energie che unisca il Paese, i sui territori, le sue imprese e le sue comunità nella missione della qualità, della bellezza, della cultura che si incrocia con l’innovazione tecnologica e la green economy. Facce della stessa medaglia che prendono corpo nel nostro ineguagliabile patrimonio storico artistico, nei territori, straordinario mix di bellezze naturali e sapienza dell’uomo. Ma che si realizzano anche nei nostri prodotti, in cui artigiani e industriali illuminati hanno portato la bellezza e la cultura che si respira nel Paese, persino la qualità della vita: grazie anche all’incontro con la creatività e il design, che ci dice quanto sia importante l’osmosi tra cultura e mondo produttivo, e quanto sia urgente un ripensamento in questo senso del sistema educativo e formativo.
La missione che indichiamo, se non cancella i problemi dell’Italia – non solo il debito pubblico, ma le diseguaglianze sociali, l’economia in nero, quella criminale, il ritardo del Sud, una burocrazia inefficace e spesso soffocante – offre però forze alle quali attingere per affrontarli.
Io sono cultura – con i sui numeri e le sue storie, realizzato anche grazie al contributo prezioso di circa 40 personalità di punta nei diversi settori analizzati – scandaglia e racconta queste energie. Attraverso un’idea di cultura fatta naturalmente di musei, gallerie, festival, beni culturali, letteratura, cinema, performing arts, ma anche di industrie creative e made in Italy: cioè tutte quelle attività produttive che non rappresentano in sé un bene culturale, ma che dalla cultura traggono linfa creativa e competitività. Quindi il design, l’architettura e la comunicazione: industrie creative che sviluppano servizi per altre filiere e veicolano contenuti e innovazione nel resto dell’economia – dal turismo all’enogastronomia alla manifattura – dando vita ad una cerniera, una “zona ibrida” in cui si situa la produzione creative-driven, che va dalla manifattura evoluta, appunto, all’artigianato artistico.
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