Dare i voti ai Paesi (e alle aziende) non in base a criteri finanziari ed economici per sapere se meritano il nostro credito (cioè i nostri soldi), ma in base a criteri «etici»: come il «tasso» di democrazia, il rispetto dei diritti umani e dell’ambiente e l’esistenza(e la qualità) dello stato sociale.
Non solo e non tanto debito, deficit, Pil, insomma, ma libertà politica ed i espressione, diritti sindacali, istruzione, ecologia e tutto quanto contribuisce a fare una nazione democratica e sostenibile.
Si chiama «giudizio di sostenibilità» e lo emette Standard Ethics Rating, una società indipendente, molto diversa dalle «big 3» (Standard & Poor’s, Ficth e Moody’s), perché valuta Paesi e aziende analizzandone la sostenibilità ambientale e sociale e la governance, verificando e misurando se e quanto si adeguano ai principi e alle indicazioni (che sono volontarie) delle Nazioni Unite, dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse)e dell’Unione Europea.