di Elio Silva.
Che la responsabilità sociale d’impresa abbia riconquistato negli ultimi mesi un profilo di primo piano nelle politiche aziendali non desta sorpresa, soprattutto alla luce delle conseguenze a cascata dello scandalo internazionale “Dieselgate”, con annesso il tanto annunciato quanto inedito contenzioso tra grandi azionisti ed ex top management del gruppo automobilistico Volkswagen. Sta di fatto che recentemente sono state pubblicate diverse ricerche che indicano univocamente la Csr e le pratiche di sviluppo sostenibile come valori fondanti del business, ben oltre il ruolo reputazionale e di marketing che hanno fin qui prevalentemente giocato. Ne segnaliamo due, che assumono rilievo principalmente perché riferite a due categorie specifiche di stakeholders: i manager e i consumatori.
La prima indagine rileva che per il 92% dei dirigenti italiani (su un campione di 400 unità rappresentativo del settore terziario privato) il ruolo professionale implica una precisa responsabilità nei confronti della società. Le principali motivazioni indicate sono, nell’ordine: mettere a disposizione competenze qualificate (59%), farsi portavoce delle necessità altrui presso interlocutori privilegiati (38%), porre al servizio della collettività il network professionale e relazionale esterno all’azienda (31%), offrire consulenze gratuite (25%). Gli obiettivi più gettonati risultano, a loro volta, sviluppare la cultura della legalità (47%), migliorare la qualità della comunità (44%) e favorire il trasferimento di competenze (38%).