Caro direttore, con la pubblicazione dello statuto in Gazzetta Ufficiale la Fondazione Italia Sociale non è più soltanto un’idea. Dopo un lungo percorso legislativo, intrecciato con la riforma del Terzo settore, il progetto prende avvio. L’Italia avrà, per la prima volta, uno strumento simile a quanto esiste in altri Paesi, dove sollecitare l’uso di risorse private per affrontare problemi sociali è una priorità nazionale e non un compito affidato esclusivamente alla buona volontà dei singoli cittadini.
La filantropia in Italia non è un settore molto sviluppato. Ma non per mancanza di ricchezza finanziaria, bensì per l’incrocio tra una forte ideologia pubblicocentrica e il retaggio di una cultura che tende a preferire gli ambiti locali, da singola associazione, parrocchia, o quartiere. Una generosità popolare, che non ama le intermediazioni e si mobilita sui territori. Ma questa filantropia di prossimità ha dei limiti. La tacita ripartizione degli interventi nel sociale tra Stato e cittadini, il primo orientato ai problemi di grande scala e i secondi alla gestione di necessità locali, oggi mostra la corda. Funzionava in tempi di welfare espansivo e bilanci in crescita.