Con il debutto degli indicatori del benessere nel Def 2017, il concetto di qualità della vita si avvicina al suo obiettivo: affiancarsi o comunque integrare il Pil come strumento di misurazione dello stato di salute di una collettività. Ormai è opinione condivisa che la ricchezza di un Paese non è data solo da merci e denaro, entrate e uscite. E il set di indicatori sui quali sta lavorando il comitato ad hoc istituito con la riforma del Bilancio lo scorso anno prende infatti ispirazione dai 130 indicatori del Bes (Benessere equo sostenibile), individuati dall’Istat per catturare quegli aspetti immateriali che contribuiscono alla vivibilità di un Paese: ad esempio l’ambiente, la salute, l’istruzione, le diseguaglianze sociali, la solidarietà.
Un impegno rilevante che fin dagli anni Settanta vede coinvolti istituzioni, governi, centri studi economici, organizzazioni ambientaliste, in gara tra loro tra nuove definizioni e metodologie di misurazione. Questa la considerazione base: i soldi non danno la misura della “felicità” di una nazione perché l’abbondanza non sempre coincide con la qualità e la sintesi che ne fa il Pil (l’indice inventato nel 1934 dal premio Nobel statunitense Simon Kuznets) presenta dei limiti. Da qui l’interrogativo: come “andare oltre il Pil”, quale altro termometro utilizzare per uscire dalla logica strettamente economica, ricorrendo comunque a dati certi?
Le risposte nel tempo sono state numerose e diverse. Eccone alcune, a partire da Robert Kennedy che, nel 1968 davanti agli studenti dell’università del Kansas affermò che «il Pil misura tutto, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta». Un pilastro per il calcolo della ricchezza, ma che tra i suoi addendi conta anche elementi negativi, come la produzione di armamenti, la spesa per le carceri, gli sprechi di risorse per i danni ambientali.
Al dibattito ha partecipato anche il piccolo stato del Buthan, il cui sovrano negli anni Ottanta ha voluto sostituire il Pil con il Fil (l’indice di Felicità lorda, in inglese Gross national happiness, Gnh), un sistema basato anche su alcuni criteri di valutazione morale (sviluppo sostenibile, cultura, conservazione dell’ambiente e buon governo), criteri che però hanno il limite di rispecchiare la specifica realtà, anche religiosa, di quello Stato, trascurandone altri fondamentali per l’Occidente.
Ma il lavoro più noto e corposo è forse quello della commissione voluta alla fine dello scorso decennio da Nicolas Sarkozy (presieduta dal premio Nobel Joseph Stiglitz) volta a definire il cosiddetto Bil (Benessere interno lordo), un valore in grado di misurare le prestazioni economiche e il progresso sociale. Il rapporto scaturito nel 2009 non conteneva però una formula magica anti-Pil, bensì una serie di raccomandazioni per la formazione di indicatori non convenzionali, riguardanti aspetti quali salute, istruzione, ambiente, occupazione, benessere materiale e partecipazione politica.