Siamo nell’incertezza. Diventa attuale per ognuno di noi mettere in comune dubbi e saperi. Vedo anche inviti a schierarci come se avessimo certezze. Da una parte i sostenitori della rete che ci immunizza, dall’altra i cantori della fabbrichetta che ci salva con il saper fare.
In mezzo chi, come Realacci, rilancia l’appello dell’incontro di Assisi per un capitalismo che incorpori sostenibilità e coesione sociale. Per cercar di capire il “non ancora” e il ragionare sulla fase 2, mi son messo a rileggere Becattini e De Rita. Due antropologi del capitalismo di territorio: dal sommerso ai capannoni ai distretti alle filiere e alle piattaforme che vorremmo far rivolare nel mondo per competere. Rileggere il “com’era” serve a capire il “come sarà”. Aiuta a disegnare mappe più da antropologi dello spirito del capitalismo che da economisti in questi tempi di vita nuda le cui regole sono scritte dalla cura dei corpi che producono merci e servizi, ma anche contagio.