E adesso l’azienda riempie la busta paga di biglietti del cinema, ingressi alle terme e soggiorni estivi per tutta la famiglia. Ecco il salario accessorio del lavoratore 2.0 ai tempi dei “flexible benefits”, dove i premi produttivi e di risultato si convertono in un ampio ventaglio di servizi che vanno ben oltre la conciliazione vita – lavoro comprendendo contributi anche per i momenti di svago.
Fino a qualche anno fa il Welfare aziendale era una “gentile concessione” dell’azienda, una scelta spesso unilaterale, dai tratti quasi paternalistici sul modello olivettiano o di mamma Fiat degli anni cinquanta, e che riguardava soprattutto la previdenza e le spese mediche o quei benefit complementari alla vita lavorativa, dall’auto aziendali ai buoni pasto. Oggi lo scenario è completamente cambiato. E il welfare aziendale è diventato uno strumento di competitività, un elemento distintivo di brand reputation e decisivo per attrarre e trattenere i migliori talenti. E quindi il carrello della spesa dei servizi a disposizione del lavoratore si riempie di soluzioni creative e tagliate su misura del lavoratore.
Tant’è che il 2017, concordano gli esperti, sarà l’anno di svolta per il settore, che entrerà a pieno titolo nelle dinamiche di mercato. Il perché appare chiaro leggendo i dispositivi di legge inseriti nella finanziaria 2017, in cui il welfare aziendale amplia la sua platea di beneficiari (a tutti i dipendenti fino a 80 mila euro di stipendio annuale), aumenta il tetto di sgravi (fino a 4000 mila euro), ed estende il numero di servizi detassabili. In Sostanza l’azienda si trova in mano un tesoretto da poter inserire nella contrattazione di secondo livello, sotto forma di premi produttività, senza incidere sul costo del lavoro.