Quasi due italiani su tre giudicano scarso o pessimo il sistema di welfare del nostro Paese e a “salvarsi” (anche se con uno scarto minimo) è solo la sanità, che rappresenta secondo un quarto dei cittadini il settore nel quale lo Stato dovrebbe investire in modo prioritario per potenziare i servizi. Preoccupazioni relative a future malattie e all’inadeguatezza della pensione, manifestate in tutto da otto cittadini su dieci, emergono in modo chiaro nella ricerca che oggi viene presentata a Roma durante il «Welfare Italia Forum 2018», iniziativa del gruppo Unipol giunta alla nona edizione. Il programma prevede gli interventi, fra gli altri, del ministro dell’Economia Giovanni Tria e della titolare del dicastero della pubblica amministrazione Giulia Bongiorno.
Dal rapporto, spiegherà Nando Pagnoncelli, presidente di Ipsos, l’istituto che lo ha realizzato su un campione di mille interviste in una popolazione di età fra 18 e 75 anni, risulta che i timori non determinano però un atteggiamento «attivo». A fronte di una percezione molto significativa del rischio di possibili disabilità portate dalla vecchiaia, il 4% dichiara di essersi posto il problema stipulando polizze specifiche e il 10% generiche mentre il 34% afferma di non pensarci e il 52% di non aver attivato assicurazioni né di volerlo fare. Solo il 22% ha una copertura sanitaria e il 61% non intende sottoscriverla, mentre il 30% ha un piano pensionistico integrativo.
Se sono ben presenti le difficoltà per garantire il welfare con le risorse disponibili, sui possibili interventi non ci si allontana granché dal perimetro pubblico. Il giudizio sui sistemi di welfare è complessivamente negativo (il 61% della popolazione lo boccia con punte del 75% nel Centro Italia, mentre nel Nord Ovest è promosso dal 39%) ma il 54% pensa sia opportuno mantenere tutti i servizi gratuiti o a basso costo solo per chi è in condizioni di povertà e far pagare tutti gli altri. E rispetto in particolare al sistema sanitario (considerato il settore di welfare più importante), quasi l’80% ritiene non possa reggere. Ma che in realtà per renderlo sostenibile nel lungo periodo basterebbe eliminare gli sprechi e la presenza della politica (con i suoi costi eccessivi) per avere i conti a posto. Secondo la ricerca è perciò necessario un cambiamento di approccio che non può essere inerziale: occorrono iniziative di comunicazione in ambito pubblico e privato per stimolare una sorta di «chiamata all’azione» per i cittadini, senza tuttavia suscitare allarmismi.
Conclusioni coerenti con lo spirito dell’iniziativa promossa dal gruppo guidato da Carlo Cimbri e che rappresenta un momento di incontro fra gli attori della cosiddetta «white economy», la filiera del welfare complessivo che rappresenta quasi il 37% del Pil e il 16,5% dell’occupazione del Paese: sanità, assistenza, previdenza (e altro) non possono restare solo un costo a carico dello Stato, ma favorendo l’integrazione pubblico-privato e l’innovazione tecnologica sono in grado di diventare fattore di sviluppo per una crescita equilibrata dell’economia.