Uno stralcio dell’editoriale dell’economista presidente della Pontificia accademia delle scienze sociali che partecipa al dibattito #pacifismoannozero e apre il numero di VITA magazine di aprile: « La pace va costruita, posto che essa non è qualcosa che spontaneamente si realizza a prescindere dalla volontà degli uomini. Se dunque si vuole veramente la pace, quanto occorre fare è di operare per estendere ovunque la cultura e la prassi del principio democratico»
Quale il nesso tra quanto sta tragicamente accadendo in Ucraina e l’istanza pacifista? Che fare, nelle attuali condizioni, se si vuole essere pacificatori? Il pacifismo tradizionale del XX secolo — noto come pacifismo di testimonianza — oggi non è in grado, da solo, di far avanzare la causa della pace. Esso continuerà ad essere un’opzione della coscienza individuale, degna della massima tutela giuridica e della più ampia considerazione sociale; ma il mantenimento della pace in terra esige, nelle attuali condizioni storiche, molto di più. E ciò per due ragioni fondamentali. La prima è esterna al pacifismo: sono mutate sia le cause sia la natura della guerra, come ben si sa. Giovanni Paolo II è stato fra i primi a comprendere questo fatto. Nel suo primo Angelus del 2002, il Papa disse: «Forze negative, guidate da interessi perversi, mirano a fare del mondo un teatro di guerra” (corsivo aggiunto). Parole inquietanti che sanno non solo di profezia, ma soprattutto di atto d’accusa politica. La guerra continua a rimanere un’opzione possibile nelle agende politiche. Con il che, il destino economico e sociale dei singoli Paesi e popoli continua ad essere ignorato e trattato strumentalmente.